il pollo anticapitalista

Ogni volta che mi dichiaro vegano, non posso fare a meno di percepire quella sensazione – a tratti sgradevole – di aver pestato una merda dopo che sei uscitə di casa con il tuo vestito più elegante e nuovo. Non sono vegano da molto e non mi permetto di dare giudizi sull’alimentazione delle altre persone, anche perché sono consapevole che il mio è un percorso quotidiano fatto di scelte e riflessioni quotidiane.

Dicevo dunque, in gruppo sento sempre di aver pestato la merda quando affermo di essere veganə. Ma è un meccanismo strano, perché è vero che a volte vengo derisə – la grigliata, gli arrosticini, ecc. – ma capita sempre più spesso che le altre persone quasi si scusino con me.

Tipo: “eh, anche io alla fine mangio pochissima carne”, “la carne fa male, meglio limitare” e affermazioni simili. Ora, a parte il fatto che non si colga il punto etico di una scelta vegana, ovvero il benessere animale volto a evitare qualsiasi forma di sofferenza e sfruttamento animale, tuttavia il meccanismo di difesa delle persone mi sorprende sempre. Infatti ciò che le altre persone dicono sembra quasi un’ammissione di colpevolezza: hai ragione, fai bene, ma io non sono come te. Ma lungi dall’emettere sentenze, nonostante la confessione palese, è chiaro che l’ammissione di colpevolezza è logicamente debole, perché mette al centro del ragionamento sempre l’essere umano. Chi dice che bisogna mangiare meno carne lo dice per la salute, per il cambiamento climatico.

Questo antropocentrismo auto-indotto sembra essere una questione importante. Il capitalismo ha estratto energie ovunque, in qualsiasi ambito in cui si potesse generare un profitto. Lo ha fatto con i dati dei social network e lo ha fatto persino, pensate, nel campo delle riviste su cui si pubblicano gli articoli della ricerca scientifica (ne ha parlato Davide Lovisolo in questo post).

Quindi è abbastanza chiaro prendere atto che ormai noi tuttə abbiamo introiettata la logica del capitalismo. È chiaro che siamo stati modellati dal capitalismo a tal punto da curvare anche le nostre scelte alimentari, vegane o non vegane, agli interessi del capitalismo stesso. Infatti, anche lo stile alimentare è frutto del capitalismo. Banalmente, perché uccidiamo gli animali. E li ammazziamo per farne profitto. E puntare il dito su salute e cambiamento climatico vuol dire puntare il dito su industrie farmaceutiche e industrie fossili, le punte di diamante del capitalismo contemporaneo.

Ma dicevo, il capitalismo è interiorizzato nelle persone e ci lasciamo sfruttare ingenuamente, lasciamo che il capitalismo modelli le nostre vite. E quando una persona è un po’ ingenua e si fa sfruttare, si dice che è un pollo. È il linguaggio dello specismo, e anche del capitalismo: pure nella dialettica simbolica gli animali sono usati per corroborare tesi economiche.

Gli allevamenti intensivi di pollo poi sono tantissimi nel mondo. La carne di pollo è la più consumata nel mondo: lo dice il rapporto OECD-FACO Agricultural Outlook 2021-2030, capitolo 6, pagina 165, figura 6.1 (lo trovate a questo link). Come vedete, i polli sono gli animali più sfruttati al mondo: li alleviamo, li cresciamo, poi li uccidiamo e li mangiamo. Quindi attenzione quando vi chiamano “pollo”, ecco.

Ma al di là delle battute, mi pare ci sia poco da scherzare. Il rapporto FAO citato sopra parla anche del fatto che la produzione di carne, che poi è principalmente pollame, fa aumentare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera e quindi accelera la crisi climatica, che poi è crisi solo per noi sapiens, non per il pianeta in generale che andrà avanti lo stesso anche senza di noi per altri 5 miliardi circa, prima che il Sole si trasformi in una gigante rossa. Siamo noi come specie che siamo agli sgoccioli. Nonostante questo, continuiamo a sfruttare i polli all’inseguimento del muoia Sansone con tutti i filistei.

Certo è che i polli saranno pure polli, ma si ammalano, come tutti i polli. Se poi sono a migliaia in allevamenti intensivi, beh, ancora più facile che i virus si diffondano e si generino varianti dei vari virus. Sembrerebbe un ragionamento ipotetico, invece no: è già successo purtroppo.

Il virus H5N1, detto anche “virus dell’aviaria”, ha già colpito svariati allevamenti di polli creando stragi su stragi. Dove? Ovunque, anche in Italia. Qui trovate un articolo dell’Arena, il giornale di Verona, del 9 luglio 2023.

Il virus H5N1 si diffonde principalmente tra uccelli, quindi anche tra i polli. Se avete letto l’articolo avete visto che è avvenuto un salto di specie, da polli a mammiferi, nella fattispecie cani e gatti. Naturalmente, ormai dovremmo averlo imparato dopo gli anni della Covid-19, più il virus circola più muta. E più muta più diventa probabile il salto di specie. E che cosa accade se si ammala homo sapiens di H5N1? Anche qui, purtroppo, è già successo: finora sono state infettate 300 persone e ne sono morte 200. Come potete vedere, il tasso di mortalità è alquanto elevato (qui trovate un domande-risposte veloce e informativo a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – per esempio, c’è scritto che mangiare pollo cotto non crea alcun problema di contagio da H5N1).

Insomma, ci siamo già dentro, anche se David Quammen parlò già – in modo preoccupato – dell’H5N1 nel 2012 nel suo libro Spillover – in cui Quammen parlava già in generale del rischio di pandemia a causa di un virus che saltasse di specie, cosa poi effettivamente accaduta con la Covid-19.

Ora vi chiedo: avete anche voi la sensazione che non si stia facendo nulla e che si stia solo sperando che non accada una nuova pandemia? Una cosa è certa: la colpa è del capitalismo, la corsa forsennata per sfruttare qualsiasi cosa esistente su questo pianete per riuscire a spremere del profitto.

Ritengo – ma questo è un mio parere personale – che la scelta vegana sia soprattutto una scelta antispecista, quindi politicamente orientata in modo forte contro ogni sfruttamento, quindi anticapitalistica. Ma siccome il capitalismo non può lasciarsi sfuggire di fare profitto anche con il veganesimo, ecco che ci propina prodotti e stili di vita conformi con la logica capitalistica dove lo sfruttamento è più nascosto stavolta: si annida nei salari oppure negli investimenti finanziari o nella reperibilità e nello sfruttamento di risorse di altre nazioni o foreste e suoli ad libitum. Se il virus H5N1 dovesse davvero arrivare la colpa sarà indiscutibilmente del capitalismo, anche se probabilmente servirà a poco riuscire a identificare il colpevole.

La domanda è come reagire. È ciò che mi chiedo ogni giorno. La mia vita – come quella di tuttə – è, per forza di cose intrisa di capitalismo. Le scelte che facciamo possono essere anticapitalistiche e avere un impatto serio? Oppure è tutta una grande illusione? Non so rispondere a queste domande, eppure continuo a fare quello che credo sia giustamente anticapitalista, per quanto possibile dai miei limiti. Una cosa però posso dirla. Non mangiare animali, almeno quello, è una scelta etica che sento parte del mio essere e che ha cambiato la mia vita: mi ha reso più liberə di quanto non fossi. Forse l’anticapitalismo si raggiunge prima di tutto liberandosi?