il voto in condotta è una cagata pazzesca

Non a caso uso per il titolo un richiamo alla celebre scena fantozziana. In quel frammento cinematografico, il direttore della ditta dove Fantozzi lavorava costringeva lə dipendenti a una “buona condotta” tramite una specie di sadismo cinefilo. Nell’occasione della battuta richiamata dal titolo, Fantozzi si ribella all’obbligo di buona condotta: decide di giudicare negativamente il film appena costretto a vedere, rinuncia al conformismo e trascina i suoi colleghi e le sue colleghe.

Un altro stupendo esempio cinematografico che riguarda la condotta, stavolta prettamente scolastica, è il meraviglioso capolavoro Zero in condotta di Jean Vigo. In questo film si trovano dei ragazzi molto vivaci che distruggono ogni minima parvenza di conformismo, ma non vi dico come va a finire. Consiglio di vederlo.

La “buona condotta” quindi è stata da sempre oggetto di analisi e niente come il cinema ha mostrato nel modo più schietto che cosa vuol dire subire le regole rigide del conformismo: quando sei spettatore o spettatrice guardi le cose da lontano e il grado di coinvolgimento massimo dura quanto dura il film, ma non subisci direttamente ciò che vedi.

Ma se lasciamo la finzione del cinema per tornare alla realtà della vita scolastica italiana, una rapida ricerca sull’origine del voto in condotta ci porta nel periodo più buio della nostra storia.

Infatti, il voto in condotta è legato indissolubilmente all’istruzione in Italia durante il fascismo.
Toh, chi l’avrebbe mai detto! Precisamente, tutto inizia con l’articolo 82 del regio decreto del 6 maggio 1923, n. 1054, il primo della cosiddetta “riforma” del ministro Giovanni Gentile.

Fun fact: il fascismo bocciava con 7 in condotta, ma questo articolo fu modificato solo nel 1977 (ora si boccia con 5 in condotta).

Se non sorprende affatto che la valutazione del comportamento sia
stata uno strumento educativo del regime fascista, desta invece stupore il fatto che sia non solo presente oggi, ma addirittura venga sempre più come caposaldo dell’istruzione
Credo ci siano almeno due fattori da considerare per un’analisi critica. Primo: chi valuta la condotta e perché.
Secondo: la valutazione della condotta come voto numerico.

Chi valuta la condotta? Verrebbe da dire “la docenti”. Ma è davvero così? Beh, dal punto di vista burocratico il consiglio di classe propone un voto base di una griglia che contiene alcuni indicatori.
Per esempio, il comportamento rispettoso, la puntualità, le consegne, atteggiamento di partecipazione e interesse alle lezioni. Quindi il voto lo mette il consiglio di classe, ma il vero giudice è lo status quo delle regole.

Infatti, basta prendere una qualsiasi griglia per capire che la valutazione della condotta è in realtà uno strumento sociale di rimozione del conflitto, di adattamento al quieto vivere. Oserei dire: un vero
strumento (subdolo) di controllo sociale. Già, perché per un 5 in condotta si può bocciare. Voi direte: è raro. Vero, però il punto non è la rarità, ma il fatto che questa eventualità sia possibile e potenzialmente utilizzabile.

Quindi la valutazione della condotta è, in fondo, un mero strumento educativo usato per creare, negli anni scolastici (si parte dalle scuole medie con la condotta, mentre alla primaria comunque c’è un giudizio…) adattamento alla società, perché associato al percorso che porta al titolo di studio con valore legale che può dare accesso a lavoro e università.

Lo ricordo di nuovo: questa faccenda del voto in condotta l’hanno introdotta i fascisti.

Ma si può riflettere ancora più in profondità. Comportamenti conflittuali, atteggiamenti disinteressati oppure consegne dei lavori non precise possono essere spia di problemi che vanno oltre la scuola e che la scuola (e chi
insegna) potrebbe addirittura non essere in grado di risolvere. Inoltre, pensando anche a episodi gravi come discriminazione e bullismo, scaricare la responsabilità sulla persona non fa altro che evitare analisi sistemiche dei vari problemi sociali che hanno radici profonde: perché se alla fine è solo colpa tua se ti comporti male e tu devi rimediare, allora perché interrogarci tuttə sulle responsabilità collettive che abbiamo?

Ma poi, perché “punire” un comportamento “non conforme” con un voto basso in condotta? Perché abbiamo un sistema educativo basato sul “premiare” con un buon voto solo chi si comporta bene secondo gli
schemi “conformi” della società? (schemi decisi da chi poi? Da chi ha potere nella
società, ovviamente). Anche di fronte a fenomeni gravi (che comunque potrebbero avere cause sociali
complesse) davvero non si riesce a immaginare un sistema educativo democratico non repressivo e punitivo? Lo ripeto: tutto questo è stato istituito dal regime in Italia dal 1922 al 1943, il fascismo.

Ma come mai il voto numerico per la condotta? Ma proprio perché il voto numerico ELIMINA ogni complessità di giudizio e di ricerca delle cause. Solo a me sembra assurdo assegnare a una persona un numero per il comportamento, con lo scopo di adattarle alle necessità dello status quo scolastico?
E potrei andare avanti. Per esempio: che senso ha sospendere, cioè allontanare da scuola, proprio coloro che avrebbero bisogno di un’educazione democratica? Forse l’esistenza stessa del provvedimento di sospensione è l’evidenza che la scuola, al momento, non è veramente democratica? Chissà.

Al momento la scuola è quel luogo in cui lə adultə che dirigono la società decidono cos’è meglio per lə ragazzə, in una specie di astoricità in cui problemi sociali restano esterni ed entrano solo come atteggiamenti “non
conformi”. Pur non potendo risolvere problemi complessi, la scuola, anziché proporre strumenti di controllo sociale come il voto in condotta, dovrebbe proporre dei momenti, direi costituenti della comunità scolastica, di scrittura condivisa delle regole. Se la scuola fosse più orizzontale e democratica forse non solo potremmo fare a meno del voto in condotta ma potremmo sperare in una scuola migliore della pessima società in cui viviamo e che la scuola, attualmente, continua a riprodurre con tutti i suoi difetti.