notte fonda prima degli esami

Ormai l’Esame di Stato, ovvero la cosiddetta “maturità”, ha un secolo di esistenza. Nel 1923, per la prima volta nella storia italiana, lə studenti si sono dovutə confrontare con un Esame di Stato, all’epoca chiamato esame di maturità.

Era, quello del 1923, un esame di una difficoltà estrema: quattro prove scritte e orali, commissioni composte da professori universitari. Una selezione degna degli Hunger Games. Per farvi capire bene: erano oggetto d’esame tutti gli argomenti dell’intero ciclo di studi del liceo. Inoltre lə studenti dovevano fare l’esame in una scuola diversa da quella in cui avevano studiato, con spostamenti alquanto farraginosi.

Ma chi ha avuto questa brillante idea dell’esame di maturità? Tutto nasce con il Regio Decreto n. 1054 del 6 maggio 1923. Siamo all’inizio dell’era fascista e ministro dell’istruzione era Giovanni Gentile. Questo piccolo contesto storico già ci dice molto: l’idea di introdurre l’esame era per avere una scuola molto classista, in cui l’accesso all’università era segnato da una selezione molto spietata. Quell’anno infatti si ebbe una percentuale spropositata di studenti bocciatə: solo il 55% fu promosso alla maturità scientifica, per esempio.

Visti i risultati, pure il regime fascista dovette rendersi conto che così non poteva andare: i ministri fascisti Pietro Fedeli prima nel 1929 e Cesare Maria de Vecchi pochi anni dopo apportarono delle modifiche per ammorbidire l’esame – per esempio si decise di far studiare solo i programmi dell’ultimo anno di corso.

Con la guerra ci fu una fase in cui si tornò al semplice scrutinio finale, senza esame. La situazione fu ripristinata però nel 1952, 7 anni dopo la fine della guerra, dal ministro democristiano Guido Gonnella che con la legge n. 1059 del 25 luglio 1952 praticamente ripristinò l’esame di maturità gentiliano di 30 anni prima dove si poteva chiedere i programmi degli ultimi due anni di corso (per la precisione, cenni del penultimo anno di corso). Comunque sia, alè, bentornatə al 1923. Lə diplomatə diventarono il 74% circa.

Il decreto legge n. 9 del 15 gennaio 1969, ministro democristiano Fiorentino Sullo, portò la maturità alla sua versione più longeva: due prove scritte e due materie da portare al colloquio orale, voto in sessantesimi, commissione completamente esterna tranne una persona interna. E con la riforma Sullo restiamo più o meno sempre sull’impianto gentiliano, ma lə diplomatə arrivarono a percentuali intorno al 90%.

E così arriviamo al 1997 con la riforma Berlinguer (primo ministro dell’istruzione del centro sinistra a riformare l’esame) e si passa da maturità a Esame di Stato: tre prove, commissione metà esterna metà interna. Questo impianto resiste qualche anno ma poi la cinghia della legge finanziaria del 2001 (governo Berlusconi, ministra dell’istruzione Moratti). Infatti viene eliminata la commissione esterna per risparmiare (ecco perché la riforma dell’Esame di Stato in questo caso fu inserita all’interno di una legge finanziaria).

Dopo ciò abbiamo avuto Fioroni che ritornò a mezza commissione esterna ma soprattutto la ministra Gelmini: oltre agli 8 miliardi di euro di tagli alla scuola pubblica, per l’ammissione all’esame divenne necessario avere la sufficienza in tutte le materie. Moltə studenti non vengono ammessə all’esame del 2009. Poi, negli ultimi anni, abbiamo avuto l’invasione del digitale; con il governo Monti, ministro Profumo arrivò il mitico plico telematico per le prove d’esame.

E infine, come non dimenticare il governo Renzi: arriva l’alternanza scuola-lavoro (ora PCTO) al colloquio orale e poi il requisito delle prove INVALSI. L’Esame di Stato è stato un po’ scalfito solo dalla Covid-19 nella fase emergenziale, ma quest’anno, l’anno del centenario, siamo a due prove scritte più colloquio orale con PCTO, commissione metà esterna e metà interna.

Che cosa è accaduto in questi 100 anni, insomma? A parte le riforme che si sono succedute, c’è un filo conduttore chiaro: l’idea gentiliana di selezione in uscita. Questo approccio nato da una filosofia prettamente fascista non siamo mai riuscitə a scrollarcelo di dosso. Sebbene le percentuali di promossə all’Esame di Stato rasentino ormai il 99% e rotti, tuttavia è l’ideale dietro questa prova che resiste anche dopo un secolo. In 100 anni non si è neanche solo immaginato un’uscita dal percorso scolastico differente da quello teorizzato dal ministro fascista Giovanni Gentile.

Chi comunque si dichiara a favore dell’Esame di Stato ritiene ci sia la necessità di: verificare con un tema la capacità di esposizione scritta, verificare con una prova d’indirizzo l’aderenza dello studio al percorso di studi scelto, un colloquio multidisciplinare in cui spicca l’esperienza “lavorativa” fatta durante l’ultimo triennio di studi. Ora, però, date le percentuali bulgare di diplomatə e l’origine pur sempre fascista di questo esame, non vi è mai stata una seria riflessione critica sull’opportunità di verificare aspetti che sono stati già ampiamente verificati durante i cinque anni di studi superiori. Inoltre, non regge neanche la questione del valore legale del diploma: si può tranquillamente assegnare senza punteggio se i consigli di classe e i docenti sono d’accordo alla fine del quinto anno.

Già, perché alla fine, lo status quo è già così: lə studentə si misurano con i TOLC universitari ben prima dell’Esame di Stato e sono ammessə ai corsi di laurea a prescindere dal voto sul diploma. Ci sono casi in cui il voto del diploma può portare agevolazioni dal punto di vista di tasse e borse di studio, ma anche in questo caso allora basterebbe allora l’indicatore ISEE. Non si capisce perché deve esserci anche il vincolo del voto del diploma – che magari può essere basso a causa delle difficoltà avute dallə studentə negli anni proprio a causa di qualche disagio socio-economico.

Forse, e qui sta l’anacronismo di oggi e che voglio denunciare in questo post. Alla fine della fiera, forse poche persone pensano davvero oggi che l’idea dell’esame gentiliano fosse sbagliata in toto, ovvero l’idea di una selezione in uscita basata esclusivamente sulla potenzialità individuale di ogni singolə studente. Del resto, Gentile era un ministro del governo fascista, quindi non è che ci si potesse aspettare che puntasse su un’idea di scuola democratica e progressista.

Il punto è che cosa facciamo noi oggi, dopo un secolo ormai: ci teniamo sul groppone questo fardello del 1923, nato dal classismo più puro e cristallino, e lo ammorbidiamo senza avere il coraggio di rivoluzionare. E se la selezione non avviene, materialmente, il giorno dell’Esame di Stato, avviene nelle coscienze di docenti e studenti che sentono il peso del giudizio, della selezione, dei voti. La spada di Damocle della valutazione del diploma pende non solo sullə nostrə studenti ma anche sul lavoro quotidiano che si svolge in classe.

L’Esame di Stato resta e ci vincola pesantemente, sia nella didattica sia nella vita di classe – soprattutto l’ultimo anno. Ma in realtà esso è piuttosto una pesante eredità del periodo più buio della storia italiana. Un’eredità che corrisponde a un rito che si ripete praticamente identico da 100 anni e con pochi accenni di critica.

Ecco, se questo post può servire a qualcosa o arrivare da qualche parte, è una critica radicale a un Esame che ha origini nel fascismo e oggi si incunea nell’insostenibile capitalismo meritocratico dei nostri giorni. La critica alle relazioni di dominio esistenti passano anche dalle idee ereditate dalle ideologie anti-democratiche di cui, in modi diversi, continuamo a percepire senza sosta i rigurgiti.

Immaginare una un’educazione più democratica e progressista, lavorare per un rifiuto della distopia meritocratica ormai imposta, sognare una società meno disuguale che affonda le sue radici in una scuola che crea comunità e non individui alienati, ecco, tutto questo passa anche attraverso una critica dell’Esame di Stato che, sebbene in forme diverse, resta tuttavia un prodotto della dittatura fascista che, non c’è bisogno di dirlo, pensava a una società non democratica e diseguale.

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